Analisi della Lettera della Commissione Ecclesia Dei sui matrimoni dei fedeli

Fonte: Distretto d'Italia

Analisi della Lettera della Commissione Ecclesia Dei sui matrimoni dei fedeli della Fraternità San Pio X

Dei matrimoni validi e incontestabili

Il 1° settembre 2015 il Papa ha annunciato tutti i fedeli che si fossero confessati, nel corso dell’Anno santo della Misericordia, dai sacerdoti della Fraternità San Pio X, avrebbero ricevuto «validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati». In un comunicato pubblicato lo stesso giorno la Casa generalizia della Fraternità ringraziava il Papa ricordando che «nel ministero del sacramento della penitenza, essa si è sempre appoggiata, con assoluta certezza, sulla giurisdizione straordinaria che conferiscono le Normæ generales del Codice di Diritto Canonico. In occasione di questo Anno Santo, il Papa vuole che tutti i fedeli che desiderano confessarsi ai sacerdoti della Fraternità San Pio X possano farlo senza che nessuno possa opporre la minima obiezione».

Il 20 novembre 2016 la Lettera apostolica di Papa Francesco Misericordia et misera (n. 12) estendeva la facoltà di confessare concessa il 1° settembre 2015 anche oltre l’Anno della Misericordia. Se la situazione della crisi in cui versa la Chiesa è, purtroppo, sempre uguale, d’altra parte la persecuzione che privava ingiustamente della giurisdizione ordinaria sacerdoti e fedeli non c’è più, dal momento che tale giurisdizione è stata conferita dal Sommo Pontefice.

Il 4 aprile 2017 è stata resa pubblica una lettera del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede e Presidente della Commissione Ecclesia Dei, il card. Gerhard Ludwig Müller, indirizzata agli Ordinari delle Conferenze episcopali. In essa il Cardinale rammenta la decisione di Papa Francesco di «concedere a tutti i sacerdoti [della Fraternità] le facoltà per confessare validamente i fedeli […], in modo da assicurare la validità e la liceità del sacramento da loro amministrato e non lasciare nell’inquietudine le persone»; poi annuncia delle nuove disposizioni del Santo Padre, il quale, «nella stessa linea pastorale […], su proposta della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Commissione Ecclesia Dei, ha deciso di autorizzare i Rev.mi Ordinari del luogo* perché possano concedere anche licenze per la celebrazione di matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità».

I Vescovi locali o delegheranno, «sempre che sia possibile», un sacerdote della diocesi per assistere – prima della celebrazione della Messa, secondo il rito tradizionale, da parte di un sacerdote della Fraternità – allo scambio dei consensi, oppure potranno «concedere di attribuire direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa».

Il card. Müller termina poi la lettera sottolineando qual è l’intenzione del Papa. Da un lato, egli vuole «rimuovere disagi di coscienza […] circa la validità del sacramento del matrimonio» contratto in presenza di sacerdoti della Fraternità. Ricevendo la delega del Vescovo, essi non possono più essere considerati irregolari nella celebrazione dei matrimoni. Dall’altro lato, il Papa intende «affrettare il cammino verso la piena regolarizzazione istituzionale». E, di fatto, la lettera del Cardinale menziona, «l’oggettiva persistenza, per ora, della situazione canonica di illegittimità in cui versa la Fraternità di San Pio X».

A nessuno sarà sfuggito l’ingegnoso procedimento con cui si conferiscono le facoltà di confessare e di assistere allo scambio dei consensi matrimoniali, in altri termini si «regolarizza» – perlomeno ad casum – il ministero di sacerdoti di un istituto ecclesiastico definito al contempo «irregolare». Ciò non toglie, però, che questi nuovi provvedimenti del Papa prendono atto della realtà dell’apostolato esercitato dalla Fraternità San Pio X in tutti i paesi in cui è presente e che, in un certo modo, lo incoraggiano.

La validità dei matrimoni della Fraternità San Pio X

Ormai, proprio come non c’è più bisogno di fare ricorso ad una giurisdizione straordinaria per confessare validamente, non c’è più bisogno di fare ricorso allo stato di necessità per assistere validamente allo scambio dei consensi matrimoniali, a meno che il Vescovo non si opponga alle nuove disposizioni rifiutando la delega voluta dal Papa.

Ciò non significa che lo stato di grave necessità non c’è più. Significa, però, che le autorità della Chiesa non si rifiutano più di concedere ai cattolici legati alla Tradizione dei mezzi per svilupparsi: il rito della Messa anteriore al Concilio è stato riconosciuto nel 2007 come «mai abrogato»; le ingiuste censure ecclesiastiche che pesavano sui Vescovi della Fraternità San Pio X sono state annullate  nel 2009; il non riconoscimento della validità del ministero dei suoi sacerdoti nell’amministrazione del sacramento della penitenza è venuto meno nel 2015; la presunta irregolarità dei sacerdoti della Fraternità nell’assistere allo scambio dei consensi nel sacramento del matrimonio è ormai, per il bene degli sposi, parimenti eliminata.

Pertanto, come il sacramento della penitenza anche prima del 2015 non era amministrato in modo invalido dai sacerdoti della Fraternità San Pio X, allo stesso modo non lo erano neppure i matrimoni da loro celebrati senza la delega ufficiale del Vescovo o del parroco locale.

Il diritto ecclesiastico, in effetti, prevede che un matrimonio, per essere valido, deve essere celebrato davanti al parroco o ad un suo delegato e davanti ad almeno due testimoni (Codice del 1917, can. 1094; Codice del 1983, can. 1108). Poiché i sacerdoti della Fraternità San Pio X non sono parroci, alcuni sostengono che, in assenza di delega, un sacerdote di tale istituto non può assistere allo scambio dei consensi e che, perciò, un simile matrimonio sarebbe invalido per difetto di forma canonica.

Tuttavia, è ancora il diritto ecclesiastico a prevedere (Codice del 1917, can. 1098; Codice del 1983, can. 1116) la seguente situazione straordinaria: «Se non si può avere o andare senza grave incomodo dall'assistente competente a norma del diritto». Se si prevede che questa situazione durerà almeno un mese, allora la Chiesa dichiara valido un matrimonio celebrato davanti ai soli testimoni; e se un sacerdote non delegato può essere presente, deve essere chiamato per assistere allo scambio dei consensi. Questa legislazione non è altro che un’applicazione di due princìpi fondamentali del diritto: suprema lex salus animarum (la legge più importante è la salvezza delle anime) e sacramenta propter homines (i sacramenti sono stati istituiti per gli uomini e non gli uomini per i sacramenti).

A chi avanzasse dei dubbi sulla sussistenza di tale situazione straordinaria, si può replicare agevolmente che, in caso di dubbio, la Chiesa supplisce alla giurisdizione (Codice del 1917, can. 209; Codice del 1983, can. 144). Dissipato così ogni dubbio, i matrimoni celebrati nella Fraternità San Pio X, anche senza delega, sono stati certamente sempre validi, in ragione dello stato di necessità.

Lo stato di necessità continua

Questo stato di grave necessità nella Chiesa non è finito. Non si tratta, dunque, di negare questa terribile realtà. A partire dal Concilio Vaticano II, in effetti, e in particolar modo con il nuovo Codice di diritto canonico del 1983, il fine primario del matrimonio, che è la procreazione e l’educazione dei figli, è stato ridimensionato a vantaggio del mutuo sostegno degli sposi, in una concezione personalista della dignità dell’amore che toglie peso al primato del bene comune della società familiare.

Il recente Sinodo sulla famiglia è un’altra triste dimostrazione del fatto che questo stato di necessità continua, e così pure le scandalose dichiarazioni di prelati e dignitari ecclesiastici che vorrebbero far credere che le unioni more uxorio tra persone non sposate e tra omosessuali contengano dei «valori positivi» e che siano perfino conciliabili con la santità del matrimonio.

Si può citare anche la Supplica di mons. Bernard Fellay al Santo Padre del 15 settembre 2015, in seguito alla pubblicazione del documento pontificio Mitis Iudex (15 agosto 2015): «Le recenti disposizioni canoniche del motu proprio […], che facilitano delle dichiarazioni di nullità accelerate, apriranno di fatto la porta a una procedura di “divorzio cattolico” sotto altro nome».

Infine, alcune affermazioni dell’Esortazione apostolica Amoris lætitia, secondo cui i divorziati «risposati» possono accostarsi ai sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia pur continuando a vivere more uxorio, sono e restano dei motivi di scandalo per la coscienza dei cattolici.

Per tutti questi motivi, i fedeli si trovano in una situazione di necessità tale che permette loro di fare ricorso ai sacerdoti tradizionali. Il loro matrimonio, in virtù della legislazione della Chiesa, è senza ombra di dubbio valido. Il fatto che oggi il Papa domandi ai vescovi di facilitare il ricorso alla giurisdizione ordinaria, garantendo la regolarità del sacerdote che assiste allo scambio dei consensi degli sposi, non fa venir meno questo stato oggettivo di crisi nella Chiesa.

Né si possono nutrire dubbi sul fatto che, nell’ipotesi che l’Ordinario rifiutasse di designare un sacerdote delegato e di «concedere di attribuire direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità», questi celebrerebbe nondimeno validamente il matrimonio in virtù di tale stato di necessità, mentre il Vescovo si opporrebbe con tutta evidenza alla volontà del Pastore supremo della Chiesa.

Attuazione dei provvedimenti della Santa Sede

Papa Francesco ha manifestato la volontà che, per il bene degli sposi, i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano celebrare matrimoni che siano con sicurezza, e senza contestazione possibile, validi e leciti. «C’è da augurarsi che tutti i Vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale», scriveva la Casa generalizia della Fraternità nel suo comunicato ufficiale del 5 aprile. Altrettanto auspicabile è che i tribunali ecclesiastici non pronuncino più, in merito ai matrimoni celebrati nella Fraternità, sentenze di annullamento per «vizio di forma canonica». Interrompendo questa prassi foriera di scandalo, che la Rota romana tollera da fin troppo tempo, il Papa ha quindi decisamente fatto del bene.

I nuovi provvedimenti che permettono di ottenere la delega dell’Ordinario, d’altra parte, non significano che saranno dei sacerdoti diocesani a preparare, organizzare o a celebrare i matrimoni. I sacerdoti tradizionali, in effetti, non possono affidare le persone che si rivolgono a loro per la preparazione al matrimonio alle cure di sacerdoti che professano princìpi erronei e potrebbero mettere in pericolo la fede dei futuri sposi, inculcando loro una concezione errata del matrimonio cristiano. Quello che richiede Papa Francesco è semplicemente che gli Ordinari diano ai sacerdoti la delega per assistere al matrimonio: si tratta di un provvedimento puramente giuridico. «Il Papa», come ha dichiarato a Radio RCF il 5 aprile 2017 il vice-decano della Facoltà di Diritto canonico di Parigi, padre Cédric Burgun, «non è entrato nel merito del dibattito dottrinale, ma ha eliminato le ambiguità sul piano giuridico, rendendo validi e leciti i matrimoni che saranno celebrati secondo le condizioni decretate dalla Santa Sede».

L’attuazione di tali provvedimenti potrà rivelarsi delicata nel caso in cui fosse il sacerdote diocesano ad assistere alo scambio dei consensi. Presumibilmente, però, si potrà fare leva facilmente sulla difficoltà a cui i futuri sposi andrebbero incontro se fossero costretti a scambiarsi i consensi in presenza di un sacerdote che neppure conoscono e che probabilmente non rivedranno mai più. Molte persone esprimono, a buon diritto, il desiderio che il matrimonio sia celebrato da un sacerdote che conoscono e stimano, a volte anche membro o amico di famiglia. L’espressione «sempre che sia possibile», contenuta nel documento della Santa Sede, è sufficientemente elastica da permettere di far valere con il Vescovo questo genere di argomenti per far sì che non sia un sacerdote diocesano ad assistere allo scambio dei consensi, a maggior ragione che è previsto che l’Ordinario possa «concedere di attribuire direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa». L’ideale, chiaramente, sarebbe che il Vescovo concedesse sic et simpliciter ai sacerdoti della Fraternità la delega per celebrare i matrimoni dei loro fedeli. L’invio della notifica di matrimonio alla diocesi (esplicitamente richiesta nella lettera) non pone invece alcun problema, poiché è già allo stato attuale pratica corrente in tutti i Distretti della Fraternità.

Affinché questi provvedimenti della Santa Sede in favore dei matrimoni celebrati nella Fraternità possano essere recepiti senza esitazioni o ambiguità da parte di tutti i sacerdoti, il Superiore generale, mons. Bernard Fellay, ha richiesto a dei canonisti e a dei pastori d’anime con lunga esperienza nel ministero sacerdotale di redigere – sotto l’autorità della Casa generalizia – un direttorio che delinei una disciplina comune da seguire in tutti i Distretti della Fraternità San Pio X.

(Fonte: DICI dell’11/04/2017)


* Il Papa si rivolge qui ai vescovi perché il potere di delegare è proprio dei vescovi e dei parroci (cfr. Concilio di Trento, Decreto Tametsi dell’11 novembre 1563, DS 1816). A differenza del sacramento della confessione, che riguarda il foro interno, il matrimonio riguarda il foro esterno, come tutti gli atti pubblici e sociali dei membri della Chiesa. Questi provvedimenti hanno per oggetto il bene dei fedeli della Fraternità San Pio X e quindi, come condizione previa, il ministero dei suoi sacerdoti.