A proposito di una “Lettera aperta"
Martedì 29 aprile 2019 una ventina di teologi e di cattedratici ha pubblicato una Lettera aperta ai Vescovi della Chiesa cattolica, invitandoli ad intervenire presso Papa Francesco, al fine di chiedergli di ritrattare le eresie di cui lo accusano. Nel caso in cui si ostinasse, il delitto di eresia sarebbe allora costituito ed il Papa dovrebbe allora «subirne le conseguenze canoniche». Il riassunto pubblicato dagli stessi Autori precisa quest'ultimo punto: se Francesco rifiuta ostinatamente di rinnegare le sue eresie, è chiesto ai Vescovi di dichiarare «che egli stesso si è liberamente spogliato del Papato».
Lo stesso riassunto spiega anche che questa Lettera è la terza tappa di un percorso incominciato nell'estate 2016. La prima consisteva in una lettera privata, sostenuta da 45 firme, rivolta a tutti i Cardinali e Patriarchi orientali, che denunciava le eresie, o i gravi errori, contenute o favorite dall'Esortazione apostolica Amoris Laetitia. La seconda tappa presentava una testo dal titolo «Correzione filiale», firmata da 250 persone, resa pubblica nel settembre 2017 e appoggiata da una petizione di 14.000 persone. In essa si chiedeva al Papa di prendere posizione sulle gravi deviazioni derivanti dai suoi scritti e dalle sue dichiarazioni. Infine la presente Lettera aperta afferma che Papa Francesco è colpevole del crimine di eresia e si sforza di provarlo, dal momento che le parole e gli atti di Papa Francesco costituiscono un rifiuto profondo dell'insegnamento cattolico sul matrimonio, sulla legge morale, sulla grazia ed il perdono dei peccati. Più di 5.000 persone hanno già firmato la petizione pubblicata on-line dagli Autori.
Tale iniziativa mostra l'irritazione e l'esasperazione crescente di molti cattolici davanti agli scritti e agli atti dell'attuale Sommo Pontefice. C'è di che essere certamente preoccupati di fronte all'insegnamento di Papa Francesco in campo morale. Inoltre, l'opinione cattolica si indigna maggiormente di un errore in questo campo, che di una falsità riguardo alla fede. Ma l'insegnamento del Papa è altrettanto fuorviante – se non di più – in materia di fede.
Davanti ad una situazione apparentemente inedita – benché la storia della Chiesa ricordi, purtroppo, delle epoche particolarmente confuse e per certi versi simili alla nostra – la tentazione di ricorrere a dei rimedi estremi si può facilmente comprendere. La situazione del cattolicesimo è oggigiorno così tragica che si fa fatica a condannare dei cattolici che tentano l'impossibile per reagire, interpellando i pastori ai quali è affidato il gregge.
I frutti del Concilio
Tuttavia bisogna sottolineare, innanzitutto, che la confusione non risale a ieri: essa è incominciata con la «terza guerra mondiale» che fu, secondo mons. Lefebvre, il Concilio Vaticano II. Il quale, attraverso le sue riforme, ha provocato «l'autodemolizione della Chiesa» (Paolo VI), seminando rovina e desolazione nel campo della fede, della morale, della disciplina, della vita sacerdotale e religiosa, della liturgia, del catechismo, della vita cristiana tutta intera. Tuttavia sono pochi gli osservatori che se ne sono resi conto; più rari ancora coloro che si sono opposti in modo fermo ed efficace a questa distruzione universale.
Di fatto, ciò a cui noi assistiamo con Papa Francesco non è che la maturazione di un frutto. Il frutto avvelenato di una pianta il cui seme è stato elaborato nei laboratori teologici progressisti e modernisti degli anni cinquanta, come un OGM (organismo geneticamente modificato), una sorta d'incrocio impossibile tra la dottrina cattolica e lo spirito liberale. Ciò che oggi appare non è peggio delle novità del Vaticano II, ma ne è solo una manifestazione più visibile è più completa. Così come la riunione di Assisi, nel 1986, era solo il frutto dei germi del dialogo ecumenico e interreligioso, allo stesso modo il pontificato attuale non fa altro che illustrare con maggior risalto ciò che è applicato e vissuto nella Chiesa conciliare, cioè la Chiesa riformata ed evolutiva.
Un processo radicale destinato al fallimento
La seconda osservazione porta sul modus operandi. Visto il modo radicale con cui i successori degli Apostoli sono interpellati, la questione del risultato da aspettarsi s'impone: questo modo di fare è prudente? Ha delle possibilità di riuscita?
Interroghiamoci su chi sono i destinatari. Chi sono? Che formazione hanno ricevuto? Quale teologia è stata loro insegnata? Come sono stati scelti? Visto il modo in cui i testi incriminati sono stati ricevuto dai vari episcopati nel mondo, è assai probabile, se non certo, che i Vescovi nella maggior parte dei casi non reagiranno. Fatte le debite eccezioni, tutti sembrano prigionieri della loro formazione deviata e della collegialità paralizzante, nell'eventualità che qualcuno volesse distinguersi.
Ma se tacessero? Cosa succederà? Che cosa bisognerà fare? Resterà solo la constatazione del fallimento di una tale iniziativa, che non farà altro che ridicolizzarne gli autori e la loro causa. Questa Lettera aperta sembra un colpo di spada nell'acqua: un'azione che non ha nessun effetto, frutto di una legittima indignazione che però sfocia in un eccesso, con il rischio di diminuire l'influenza dei buoni.
Inoltre, questa iniziativa rischia di produrre fra gli stessi Autori una certa deviazione rispetto alla battaglia da fare. Si rischia di lasciarsi prendere dal male presente, dimenticando che esso ha delle radici; che è la conclusione logica di un processo viziato sin dall'origine. Come per effetto di un pendolo, certuni credono di poter magnificare il passato recente per denunciare meglio il presente, in particolar modo appoggiandosi sul magistero dei Papi del Concilio – da Paolo VI a Benedetto XVI – per contrapporli a Francesco. È la posizione di numerosi conservatori che dimenticano che Papa Francesco non fa altro che tirare le conseguenze degli insegnamenti del Concilio e dei suoi predecessori. Non si sradica un albero cattivo tagliandone semplicemente qualche ramo...
L'esempio di mons. Lefebvre
«Che fare?», obbietteranno alcuni. Senza alcuno spirito campanilistico e senza orgoglio fuori luogo, c'è un esempio da seguire: quello dell'Atanasio dei tempi moderni, mons. Marcel Lefebvre. Certo, egli ha parlato fermamente contro gli orientamenti presi dai Papi moderni; ma nella sua battaglia per la fede ha evitato di cadere negli eccessi, e non ha mai avuto la pretesa di risolvere tutti i problemi che pone alla coscienza cattolica la crisi che attraversa la Chiesa da oltre mezzo secolo. Giammai egli si è allontanato dal rispetto dovuto alla legittima autorità, che pure sapeva riprendere con forza, senza però permettersi di giudicarla, quasi che ne fosse superiore, lasciando alla Chiesa del futuro il compito di risolvere una questione attualmente insolubile.
Mons. Lefebvre si è battuto sul fronte della dottrina, al Concilio prima, poi con i suoi numerosi scritti e conferenze, per combattere l'idra liberale e modernista.
Si è battuto sul fronte della tradizione, sia liturgica che disciplinare, per conservare alla Chiesa il suo antico ed augusto Sacrificio, assicurando la formazione dei sacerdoti destinati a perpetuare tale azione essenziale per la continuità della Chiesa.
Si è battuto sul fronte romano, interpellando le autorità ecclesiastiche sulle derive della barca di Pietro, senza stancarsi né irrigidirsi, sempre alla luce di una prudenza meravigliosa, attinta nella preghiera e consolidata dagli esempi e dagli insegnamenti di venti secoli di Papato.
I risultati provano che quello era il modo e la strada giusta, così come l'ha indicata san Paolo: «Predica la parola, insisti a tempo e fuori di tempo, riprendi, supplica, esorta, con ogni pazienza e dottrina» (2 Tim 4, 2). Che la Vergine Maria, forte come un esercito schierato in battaglia, ci conceda di «lavorare fino all'ultimo respiro alla restaurazione di ogni cosa in Cristo, all'accrescimento del suo Regno e al glorioso trionfo del [suo] Cuore Addolorato ed Immacolato» (Consacrazione della Fraternità San Pio X).
Fonte: FSSPX-Actualités