La Tradizione Cattolica, n° 104 (2017 n° 3)

Sommario 
Editoriale 
Risposte ad alcune domande sulla situazione della Chiesa 
Intervista a Giovanni Gasparro 
Che cos’è la Tradizione? 
Recensioni 
Vita della Tradizione 
Orari S. Messe Distretto italiano FSSPX 

Editoriale


di Don Marco Nély

Gli ultimi mesi hanno visto accrescersi il dibattito intorno al documento Amoris laetitia, uscito ormai un anno e mezzo fa. La nostra Fraternità aveva immediatamente reagito con diversi studi, serviti da base alla dichiarazione ufficiale del 2 maggio 2016, che ne mettevano in luce i gravi errori contro la dottrina matrimoniale. Indubbiamente il punto erroneo più esplicito riguarda la possibilità, chiaramente ammessa, per i divorziati conviventi con un nuovo partner, di ricevere la comunione senza rinunciare agli atti tipicamente coniugali (e questo al termine di un percorso di discernimento!). 

La nostra Fraternità, nel prendere posizione contro questo documento, non ha certo messo da parte le sue obiezioni contro gli errori e le deviazioni del Concilio e del postconcilio; gli stessi princìpi che hanno condotto a intaccare la dottrina sulla libertà religiosa, l’ecumenismo o la collegialità hanno permesso poi nuove alterazioni della dottrina cattolica, riguardo a nuove esigenze “sociali”, circa il matrimonio. Resta però necessario ampliare la nostra critica e la nostra professione di fede quando le autorità della Chiesa introducono errori su nuovi punti, senza che questo significhi mettere da parte le altre questioni che da sempre Mons. Lefebvre e la Fraternità hanno sollevato.

Il fenomeno relativamente nuovo all’interno della Chiesa riguarda persone e situazioni che, pur avendo in passato accettato più o meno pacificamente le novità del Concilio (magari anche per motivi anagrafici), si trovano spiazzate davanti agli ulteriori progressi dell’errore di questo pontificato. Questo ha provocato, in particolare in riferimento ad Amoris laetitia, un’interessante serie di prese di posizione: c’è chi ha voluto ostinatamente negare ogni errore nel concilio e nei Papi postconciliari, riducendo il problema alla figura di Papa Francesco; ma ci sono anche personalità che a partire da questo documento hanno cominciato a rivedere o ad approfondire la situazione della Chiesa, o ad elaborare una migliore nozione del ruolo del papato. Probabilmente alcuni di questi sono ancora in mezzo a un cammino, ma non si può negare un certo progresso.

L’esempio più noto in questo senso è quello di Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana in Kazakistan. Sappiamo bene che le sue posizioni non sono identificabili tout court alle nostre, ma è interessante leggere la sua intervista a Maike Hickson, del sito OnePeterFive. Le questioni dell’intervistatore volgono sulla figura del Prof. Seifert, un teologo che con Mons. Schneider e altri personaggi aveva firmato uno dei tanti appelli in favore della dottrina cattolica sul matrimonio, e che è stato rimosso a causa di questo dalla sua cattedra all’Accademia di Filosofia di Granada (Spagna). Seifert, accusato di sconvolgere l’unità della Chiesa e confondere i fedeli, è uno dei tanti esempi di repressione di ogni forma di dissenso operata sotto l’attuale pontificato. Ovviamente il Vescovo Schneider interviene in sua difesa, ma è interessante notare le argomentazioni di fondo che porta al suo interlocutore. Esse portano in particolare sul rapporto tra il potere papale e la Verità, e se fossero applicate a tutte le mutazioni dottrinali degli ultimi decenni sarebbero totalmente condivisibili. Citiamo qui alcuni passaggi significativi dell’intervista: «La misura punitiva contro il professor Seifert da parte di una autorità ecclesiastica non è solo ingiusta, ma rappresenta indefinitiva una fuga dalla verità, un rifiuto di dibattito oggettivo e di dialogo, mentre, contemporaneamente la cultura del dialogo viene proclamata come un’importante priorità nella vita della Chiesa dei nostri giorni. Tale comportamento clericale contro un vero intellettuale cattolico, così come è il professor Seifert, mi ricorda le parole con le quali San Basilio il Grande descrive una situazione analoga nel IV secolo, quando i chierici ariani invasero e occuparono la maggioranza delle sedie piscopali: “Solo un reato è ora punito vigorosamente: un accurato rispetto delle tradizioni dei nostri Padri. Per questo motivo, i pii sono portati via dai loro paesi e trasportati in deserti. Le persone religiose sono costrette al silenzio, mentre ogni lingua blasfema viene sciolta” (Ep. 243) […] La base dell’unità autentica della Chiesa è la verità. La Chiesa è per sua stessa natura “il pilastro e il fondamento della verità” (1Tim 3: 15). Questo principio è valido fin dal tempo degli Apostoli ed è un criterio oggettivo per questa unità: cioè la “verità del Vangelo” (cfr Gal 2: 5.14) […] All’inizio della Chiesa, Dio ci ha indicato il dovere di difendere la verità, quando essa è in pericolo di essere deformata da parte di qualsiasi membro della Chiesa, anche se questa deformazione avvenisse a nome del supremo pastore della Chiesa, come fu nel caso di san Pietro ad Antiochia (cfr Gal 2:14). Questo principio di correzione fraterna all’interno della Chiesa è stato valido in ogni momento, anche verso il papa, e quindi dovrebbe essere valido anche nel nostro tempo. Purtroppo, chiunque nei nostri giorni osi parlare di verità – anche quando lo fa con rispetto nei confronti dei Pastori della Chiesa – è classificato come un nemico dell’unità […] dobbiamo tener presente che il Papa è il primo servitore della Chiesa (servus servorum). Egli è il primo che deve ubbidire in modo esemplare a tutte le verità del magistero immutato e costante, perché lui è solo un amministratore, e non un proprietario, delle verità cattoliche, che ha ricevuto da tutti i suoi predecessori. Il Papa non deve mai comportarsi verso le verità e la disciplina trasmesse costantemente, facendo rife-rimento a loro come se fosse un monarca assoluto, dicendo “Io sono la Chiesa” (analogamente al re francese Luigi XIV: “L’état c’est moi”) […] quando sacerdoti e laici rimangono fedeli all’insegnamento e alla pratica costante di tutta la Chiesa, sono in comunione con tutti i Papi, i Vescovi ortodossi e i Santi di duemila anni, essendo in speciale comunione con San Giovanni Battista, San Tommaso Moro, San Giovanni Fisher e con gli innumerevoli coniugi abbandonati che rimasero fedeli ai loro voti matrimoniali, accettando una vita di continenza per non offendere Dio. La voce costante nello stesso senso e significato (eodem sensu eademque sententia) e la pratica corrispondente di duemila anni sono più potenti e più sicuri della voce discordante della pratica di ammettere gli adulteri impenitenti alla Santa Comunione, anche se questa pratica è promossa da un singolo papa o vescovi diocesani. In questo caso dobbiamo seguire l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa, perché opera qui la vera tradizione, la “democrazia dei defunti”, cioè la voce di maggioranza di quelli che ci hanno preceduto. Sant’Agostino rispose all’ errata pratica non tradizionale donatista del ribattesimo e della riordinazione, affermando che la costante e immutabile pratica della Chiesa sin dai tempi degli Apostoli corrisponde al giudizio certo di tutto il mondo: “Il mondo intero giudica in modo sicuro”, cioè “Securus judicat orbis terrarum” (Contra Parmenianum III, 24). Significa che tutta la tradizione cattolica si schiera sicuramente e con certezza contro una pratica fabbricata e dalla breve vita che, in un punto importante, contraddice l’intero Magistero di tutti i tempi». Parole effettivamente molto simili a quelle pronunciate da Mons. Lefebvre circa la posizione che dobbiamo assumere davanti alle novità conciliari, e che se applicate con chiarezza a tutte le innovazioni dottrinali (e non solo a quelle di Papa Francesco) sarebbero estremamente chiare e luminose. Schneider insiste sul particolare ruolo dei Vescovi nel difendere la verità, e noi aggiungiamo della verità tutta intera.

Se questi princìpi sono buoni e chiaramente affermati, è possibile discutere con queste persone e a volte anche con membri della gerarchia, e mostrare loro che sono sulla buona strada per comprendere appieno la situazione attuale. In questo senso possono essere incoraggiate le iniziative di chi prende posizione contro le novità di Amoris laetitia. Nessuno può mettere il Papa sotto formale accusa, ma tutti possono e devono, esattamente come fece Mons. Lefebvre, professare la loro fede quando un errore viene diffuso, per se stessi e per il bene del prossimo. Ogni correzione rivolta al Papa quindi ha un valore morale, non certo giuridico, nemmeno se rivolta da cardinali, anche se chiaramente la gravità dell’obbligo di dar l’esempio è proporzionale alla carica che si riveste. Il nostro Superiore Generale, Mons. Bernard Fellay, ha voluto apporre la sua firma insieme a quella di altre personalità a una “Correctio filialis”, dove si enumerano le proposizioni eretiche o erronee diffuse da Amoris laetitia. Molti dei firmatari condividono in toto la nostra posizione sulla situazione della Chiesa, altri limitano per il momento le loro obiezioni alle questioni del matrimonio: è sembrato comunque opportuno e ragionevole sostenere l’iniziativa e incoraggiarla, ripetendo la posizione presa fin dall’inizio dalla nostra Fraternità anche davanti a queste novità più recenti. L’iniziativa in questione ha avuto una vasta eco e parecchi sostenitori, non solo tra gli intellettuali cattolici ma anche tra il popolo dei fedeli, che tramite internet ha manifestato un larghissimo sostegno all’iniziativa. Interessante è notare come sia stata subito minimizzata e tacciata di “lefebvrismo”, così da non dover entrare nel merito delle obiezioni. Su Avvenire del 26 settembre l’arcivescovo Bruno Forte l’ha liquidata dicendo che rappresenta «un atteggiamento pregiudizialmente chiuso verso lo spirito del Concilio Vaticano II che Papa Francesco così profondamente sta incarnando». È interessante notare come Forte presenti il papato non come un organo di trasmissione di una verità già rivelata e immutabile (esprimendo una concezione opposta a quella illustrata da Mons. Schneider), ma come un’istanza profetica che incarna le nuove manifestazioni dello spirito divino, quello stesso che ha soffiato al Concilio. Una concezione tipicamente modernista. Mons. Forte ha aggiunto su Avvenire che il documento è una operazione che non può essere condivisa da «chi è fedele al successore di Pietro nel quale riconosce il pastore che il Signore ha dato alla Chiesa come guida della comunione universale. La fedeltà va sempre rivolta al Dio vivente, che oggi parla nella Chiesa attraverso il Papa». Una concezione del papato totalmente abnorme, che ne fa una sorta di oracolo, slegato dal concetto di Rivelazione e di Tradizione, e che fa della Chiesa non più un’organizzazione giuridica ma una specie di setta pentecostale. Niente potrebbe essere più diverso da quel potere delle chiavi e da quel concetto di società fondata da Nostro Signore sulla roccia di Pietro, suo Vicario e non successore. Il Papa non è certo un Buddha vivente, come diceva tanti anni fa Mons. Ducaud Bourget, e non certo perché vogliamo diminuirne il potere, quanto perché non vogliamo renderlo ridicolo. Del resto si sa quanto strumentali siano queste affermazioni da parte dei modernisti, che non hanno alcuna stima del papato, salvo usarlo come arma contundente per far accettare le loro novità ai refrattari, avendolo slegato dalla verità per farne un centro di potere e di coazione della volontà.

Il fatto che anche giornalisti laici, come Tosatti o Magister, si siano ormai accorti di questo atteggiamento dispotico che non vuol sentire le ragioni altrui né dialogare, la dice lunga sulla situazione in cui versano le autorità. L’eventuale espressione dei famosi Dubia dei Cardinali probabilmente non porterà diversi risultati (né si può pretendere che abbia, se non moralmente parlando, diversa portata): certamente sarà una meritoria presa di posizione, almeno su questo punto. 

Sta a noi, e può essere oggi il ruolo della nostra Fraternità, estendere il discorso dai problemi della dottrina matrimoniale, che sono in molti a cogliere, a quelli del Concilio e soprattutto ai princìpi modernistici che reggono tutte queste variazioni dottrinali, e in generale la grande crisi presente nella Chiesa. Occorre mantenere l’equilibrio e incoraggiare le forze e le persone che vanno nella giusta direzione, perché vadano avanti sulla strada della consapevolezza della crisi e delle cause della medesima. La nostra testimonianza di fede e di vita cristiana sarà proprio quello che renderà credibile la nostra opposizione, e aiuterà coloro che stanno prendendo coscienza della situazione a mettere la scure alla radice dei problemi. Ogni fedele può contribuire a questa buona battaglia, massimamente con la preghiera e con il Rosario. Concludiamo questo anno di Fatima rinnovando il fervore e la devozione nella recita di quest’arma potente così tanto raccomandata dalla Madonna stessa e dai Pontefici, perché la fede ritorni a fiorire e ad infiammare, nella sua splendente integrità, il cuore dei cattolici e dei membri della gerarchia.