La Tradizione Cattolica, n° 110 (2019 n° 2)

Sommario:

Editoriale 
La nuova messa e la professione di fede 
Paolo VI e l’autodemolizione della Tradizione 
La “morte cerebrale” e l’industria dei trapianti 
Note sull’attualità 
Intervista a don Daniele Di Sorco 
Orari S. Messe del Distretto 

Editoriale

di don Ludovico Sentagne

A partire dalla primavera i mesi ci parlano dell’eternità: nel momento stesso che la natura si risveglia e sembra parlarci di una felicità terrena, la Chiesa, nella sua sapienza, dedica questi mesi alla Madonna, al Sacro Cuore e al Preziosissimo Sangue. Devozione “moderna” diranno alcuni. Eppure in un mondo che ammalia promettendo di cancellare il dolore e la morte, e che propone un alternativo mondo virtuale che corrisponda a tutti i nostri desideri, a volte fatichiamo a ricordare che il nostro corpo è soltanto pulvis et cineres: «Polvere sei e in polvere devi tornare!» (Gen.3, 19).

All’opposto delle false promesse del mondo, la virtù di speranza ci promette «la vita eterna, che consiste nella fruizione di Dio medesimo: poiché da Lui non si deve sperare qualcosa che sia al disotto di Dio stesso, dal momento che la sua bontà, mediante la quale comunica il bene alle creature, non è inferiore alla sua essenza»(IIa IIae q.17 a.2). San Tommaso insiste sul fatto che un effetto deve essere proporzionato alla sua causa. Di conseguenza dalla potenza infinita di Dio dobbiamo sperare un bene infinito. 

Noi che siamo così immersi nel dolore e nella sofferenza, in un ambiente ove il migliore amico delude, se non tradisce (la catastrofe dilagante dei divorzi e delle se-parazioni né è un amaro esempio), facciamo fatica anche solo ad immaginare che cosa significhi gioire del “Bene per se”, cioè del Bene per eccellenza, il Bene infinito senza nessun’ombra di male. «Cosa che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo, ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano» (1 Cor.2, 9). 

È proprio Dio stesso che la fede ci fa conoscere, nella sua vita Trinitaria; Lo amiamo nella sua bontà infinita con la carità; desideriamo unirci a Lui con la speranza. Unirsi a Dio: chi di noi potrebbe sperarlo in virtù delle sue proprie forze? Egli è un bene futuro che sembra impossibile all’uomo. Di fatto rimarrebbe un pio desiderio se non avessimo un aiuto proporzionato: Dio stesso nella sua Onnipotenza. Poggiando sulla Giustizia e la Bontà di Dio, con l’aiuto della sua grazia, abbiamo la certezza che la sua Onnipotenza realizzerà ciò che ci promette: così questo “bene futuro difficile” che è la possessione eterna di Dio, da impossibile diventa possibile. 

È proprio perché dimentichiamo di poggiare su un soccorso infinito che così spesso ci scoraggiamo. Ascoltiamo gli inganni del demonio: delle passioni, delle tre concupiscenze, della falsa misericordia («intanto potrai sempre andare a confessarti»…). Dopo che ci avrà spinto al peccato, egli vorrà impedirci di rialzarci: «tanto non ce la farai»; «sei un bugiardo», «vai sempre a confessare gli stessi peccati»; «non puoi non ricadere», «è più forte di te», «ti è connaturale», sussurra il padre delle menzogna. È vero: la Redenzione è al di là delle nostre forze e capacità… Per questo dobbiamo appoggiarci sull’onnipotenza di Dio: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil. 4, 13). 

Sul crinale tra presunzione e disperazione
Dobbiamo tuttavia prestare attenzione: questa bella virtù di speranza cammina su un crinale tra presunzione e disperazione. Allorché ogni bene diventa facile, la speranza è inutile e si scivola nella presunzione. In tal senso i mezzi elettronici sono particolarmente pericolosi per la nostra gioventù: sembra che con quest’aggeggio rettangolare che si tiene nel palmo della mano io possa controllare tutto, possa conoscere tutto. Posso dimenticare il mondo immerso nella mia musica e quando un gioco va male, basta fare “Re-play” e si riparte. È un mondo virtuale dove tutto è facile ed a portata di mano. 

Al di là degli attacchi alla “bella virtù”, della facilità a criticare nell’incuranza della reputazione altrui, o del fatto che dietro la tastiera tutti si credano dottori, teologi, moralisti, il problema che intravediamo alla radice è la promessa di un nuovo paradiso terrestre. Si fa crescere una generazione senza ideali, senza speranza, che pensa di “essere come Dio”, ma che infine è schiava della sua dosa giornaliera di “surfing”.

Sull’altro versante possiamo cadere nella disperazione; diceva Mons. Lefebvre, il complotto di queste sette “ben note” si realizza sempre più; l’ostacolo ci sembra insormontabile, il bene futuro difficile ma possibile, diventa impossibile; o ancora, crediamo solamente in un castigo apocalittico che manderà tutti i cattivi all’inferno e non crediamo più nella potenza della grazia per convertire le anime. Rimangono solamente i “puri e duri” che non devono mischiarsi con i cattivi: non crediamo più al Vangelo che ci dice che dobbiamo essere «il sale della terra». 

La speranza si colloca quale equilibrio sul crinale tra una giusta diffidenza di se stessi e una totale fiducia in Dio. Tra la rinuncia alla propria volontà quale Croce da portare tutti i giorni, e l’amore per il Sacro Cuore di quell’Uomo-Dio che portò lieto la sua Croce al fine di prepararsi una sposa «senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma santa e irreprensibile» (Ef.5, 27). Tra il «Nada, nada, nada» di san Giovanni della Croce e l’infinito amore con il quale il Padre sacrifica il suo Figlio Unigenito per noi. Diffidenza di se stessi e fiducia in Dio sono le due ali della piccola Teresina, la più grande santa dei tempi moderni, la patrona delle missioni. 

Nel nefasto anniversario della nuova messa (1969-2019), allorché realizziamo sempre più quale bene infinito ci hanno voluto rubare, il vero sacrificio dell’Uomo-Dio, allorché la crisi prosegue aumentando ed accelerando, allorché proprio i soccorsi umani sembrano sparire, la virtù di speranza sarà la nostra salvezza. Non dobbiamo appoggiarci sugli uomini, fossero anche i migliori, non dobbiamo ricercare né uomini straordinari né sedicenti apparizioni, bensì poggiarci a Dio stesso, nel suo aiuto onnipotente che si manifesterà pur nella nostra miseria. Rispondeva già il Cristo Re al suo amato apostolo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza si esprime nella debolezza» (2 Cor. XII, 9). 

Sappiamo che le porte dell’Inferno non prævalebunt. Guardiamo quindi la storia guidati dal dono dell’Intelletto, cioè alla luce di Dio, della sua Onnipotenza, della sua Eternità. Confessiamo la nostra miseria e giungeremo sicuri alla vittoria. Come dicono i santi: «dobbiamo agire come se tutto dipendesse di noi e pregare come se tutto dipendesse di Dio». In altre parole, con santa Giovanna d’Arco: «I soldati combatteranno e Dio darà la vittoria». Allora saremo veramente il sale della terra perché saremo dei veri cristiani, chiedendo secondo la preghiera di Elisabetta della Trinità: «si faccia nell’anima mia come una incarnazione del Verbo, ed io gli sia una umanità di più, nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo mistero»1 .

  • 1Libro blu, Ed. Piane 2019, p.63.