La Tradizione Cattolica, n° 111 (2019 n° 3)

Sommario:

Editoriale

Intervista a don Davide Pagliarani, Una chiesa che funziona al contrario

Una questione di principio

San Francesco d'Assisi e il Sultano nel 1219: ecumenismo o professione di fede?

Piccolo vademecum antiscientista (seconda e ultima parte)

500 anni di San Lorenzo da Brindisi

Vita della Tradizione

Orari S.S. Messe del Distretto

Editoriale

di don Ludovico Sentagne

«Per qual fine Dio ci ha creati? Dio ci ha creati per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa terra, e per goderLo poi nell’altra, in Paradiso»1 . Così inizia il nostro catechismo in una delle sue primissime domande. Il catechismo del Concilio di Trento ci spiega meglio il concetto: «Dio… creò [il mondo] dal nulla, non costretto dalla violenza o dalla necessità, ma di propria spontanea volontà. L’unica cosa che lo spinse all’atto creativo fu il desiderio di espandere la sua bontà sulle cose create»2 .

Gradualità di partecipazione

Questa partecipazione alla bontà di Dio che è la causa e la finalità della nostra esistenza, la troviamo già nella cose materiali: sono le vestigia della presenza di Dio perché partecipano alla sua Esistenza. Nelle piante abbiamo già il principio di vita interno che si avvicina di più al Dio immateriale. Negli animali si aggiungono le passioni con l’istinto che permettono di raggiungere questa perfezione che scopriamo dai piccoli insetti ai grandi mammiferi.

Eppure manca ancora l’essenziale se così possiamo dire. Manca questa comunicazione di Dio nella sua spiritualità: «Facciamo l’uomo secondo la nostra immagine, come nostra somiglianza, affinché possa dominare sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e sulle fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Gn. 1,26).

Sant’Agostino commentando la Genesi ci spiega: «la Scrittura soggiunge immediatamente:e “abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo” e su tutti gli altri animali privi di ragione, per farci intendere, appunto che l’uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione. Orbene, questa facoltà è proprio la ragione o mente o intelligenza o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà»3 . Contrariamente alle idee che troviamo nell’Instrumentum laboris del Sinodo sull’Amazzonia vediamo bene che tutta la creazione materiale è fatta per l’uomo e l’uomo per Dio. Non solamente per partecipare alla bontà di Dio nel contemplarLo filosoficamente, ciò che sarebbe già una cosa superiore al valore di tutta la creazione materiale, ma perché ha ricevuto un ultimo dono superiore a tutti gli altri.

«Il desiderio di espandere la sua bontà» è esteso con un atto totalmente gratuito di Dio alla sua vita intima, a una comunicazione alla vita trinitaria: l’uomo diventa figlio adottivo di Dio con la grazia e partecipa a questa comunicazione di carità che è la processione delle tre Persone dellaSantissima Trinità. Creazione, Incarnazione, Redenzione, tre facce di una stessa volontà del Dio Trinità: «il desiderio di espandere la sua bontà»; comunicare e restaurare in noi ciò che fa la sua felicità, la vita Trinitaria, facendoci figli adottivi con la grazia e la carità.

Amore divino ed amore umano

Per Dio, amare vuol dire dare. I teologi ci spiegano che Dio non ci ama perché trova in noi del bene, delle virtù; ma, poiché ci ama gratuitamente, ci dà del bene, delle virtù. È una predestinazione gratuita, una scelta gratuita: a uno comunica un talento, all’altro cinque secondo la sua Sapienza.

Invece noi amiamo una cosa, una persona, perché troviamo un bene in essa. Questo bene sarà esclusivamente per noi nel caso dell’amore di concupiscenza o dell’amore utile, o sarà qualcosa che possa stabilire una vita in comune come nel caso dell’amicizia (per esempio una passione in comune: per la montagna, per un autore...). Ma c’è sempre qualcosa all’origine che provoca il nostro amore. Invece, per la trascendenza di Dio, il suo amore crea il bene, gratuitamente. «Chi gli dette per primo perché ne possa avere il contraccambio?» (Rom. 11,35).

Noi potremmo invece contraccambiare. Questo sarà la nostra carità verso Dio. Fede e speranza spariranno come afferma l’Apostolo, ma la carità rimarrà sempre.

Alla sera della vita, noi saremo giudicati sull’amore, afferma san Giovanni della Croce. «E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà resa palese; la svelerà quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco saggerà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera costruita resisterà, si riceverà la mercede; ma se l’opera finirà bruciata, si avrà danno: ci si potrà salvare, ma come attraverso il fuoco» (1 Cor. 3,12-15).

Così tutto ciò che non sarà carità sparirà. Rimarranno l’oro e le pietre preziose.

Quale carità?

Ma questa carità sulla quale saremo giudicati, qual è? È il «volersi bene», la «fratellanza universale» di queste ben note sette? O magari la “carità” verso la «Madre terra»?

Negli anni ‘80 la Chiesa conciliare serviva il mondo pregando per la pace. Così Giovanni Paolo II, «Papa secondo le nostre necessità»4 fece il primo incontro di Assisi nel 1986. Papa Francesco, purtroppo sempre «Papa secondo le nostre necessità» scrive la Laudato si’ e organizza il Sinodo sull’Amazzonia secondo il nuovo cavallo di battaglia dei poteri forti.

Niente è cambiato da Giovanni XXIII e Paolo VI: abbiamo sempre una Chiesa conciliare che non è più una chiesa militante, che vuole farsi amare dal mondo. Così volenti o nolenti hanno adempito il piano massonico che tollera la Chiesa solamente come opera umanitaria che insegna alla gente a comportarsi bene secondo i nuovi comandamenti: 1- Venererai la Madre Terra; 2- Farai la raccolta differenziata… È comunque sempre meglio un po’ di moralità in modo da avere un vicino che non ruba, dei contribuenti che pagano le tasse ed obbediscono al governo! Lo pensavano già Voltaire e Machiavelli.

Ma Dio, l’unico vero Dio, il Dio Trinità, dove è finito in questa nuova Chiesa? L’Instrumentum laboris fa l’elogio dei riti pagani e del dialogo con gli spiriti5 . Al massimo se rimane qualcosa che vada oltre la semplice natura umana in questa nuova religione, non sarà soprannaturale ma preternaturale. Una volta chiusa la porta alla Santissima Trinità ad Assisi, sono rientrati dalla finestra gli «spiriti». Il culto dell’uomo di Paolo VI ci ha semplicemente riportato al primo peccato degli Angeli, «Non serviam», e dei progenitori, «Diventerete come Dio». Non è più tempo di «Apostasia silenziosa». Siamo oltre, ma tuttavia sempre sulla scia dei ‘progenitori’ del Concilio.

Che fare?

Allora che fare? Scoraggiarsi? «Portae inferi non praevalebunt adversum eam» (Mt. 16,18).

Seguiamo la via che ci mostra il Superiore generale della Fraternità nella recente intervista che potete leggere in questo numero: «Bisogna avere il coraggio di riconoscere che una buona presa di posizione dottrinale non è sufficiente, da sola, se non è accompagnata da una vita pastorale, spirituale e liturgica coerente con i principi che si vogliono difendere, perché il Concilio ha inaugurato un nuovo modo di concepire il cristianesimo, coerente con la nuova dottrina».

Chi scopre la Tradizione della Chiesa deve essere incoraggiato, man mano, con carità, cioè con amore che vuole il bene di quest’anima redenta dal Sangue di Nostro Signore, a prendere le giuste decisioni per vivere integralmente, senza compromessi, la vita della fede. Non possiamo essere schizofrenici, con due personalità.

Ma è vero anche per chi vive da tanti anni nella professione della vera fede cattolica: c’è uno scoraggiamento che arriva con il tempo, si abbandona un po’ il combattimento o non si trasmette ai figli che «una milizia è la vita dell’uomo sulla terra» (Gb. 7,1). Allora riprendiamo il combattimento con le nostre armi: il Rosario, ma non solo. Che i misteri meditati nel Santo Rosario passino nella nostra vita quotidiana. Il sacrificio al quale assistiamo alla Santa Messa deve scendere nella nostra vita. È esigente? Sì. Per riprendere un’immagine di san Giovanni della Croce: è un sentiero dritto che va sempre in salita. Ma arriva in Paradiso. Dio non si lascia mai vincere in generosità ma ricompensa come Dio: ci ha creati per «espandere la sua bontà».

  • 1Catechismo di san Pio X, Ed. Piane, p.10 §13.
  • 2Catechismo Tridentino, Ed. Cantagalli, p.49 §26.
  • 3S. Agostino, La Genesi alla lettera, cap.3, § 20.30.
  • 4«Quello che dobbiamo cercare e aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo le nostre necessità [...]. Con quello marceremo più sicuramente all’assalto della Chiesa che con gli opuscoli dei nostri Fratelli in Francia e anche con l’oro dell’Inghilterra. Volete saperne la ragione? [...] Noi abbiamo il dito mignolo del successore di Pietro impegnato nella congiura e questo dito vale per una simile crociata tutti gli Urbani II e tutti i San Bernardo della cristianità. Senza dubbio raggiungeremo questo fine supremo dei nostri sforzi. Ma quando? Come? L’ignoto non è stato ancora rivelato. [...]. Or dunque, per assicurarci un Papa fornito delle qualità richieste, si tratta di formare a questo Papa una generazione degna del regno che desideriamo. Lasciamo da parte le persone anziane e quelli di età matura; andiamo alla gioventù, e se è possibile, anche ai bambini», Istruzione permanente dell’Alta Vendita pubblicato su richiesta di Pio IX da Jacques Crétineau-Joly (1803-1875) nella sua opera L’Église Romaine en face de la Révolution.
  • 5Instrumentum laboris, Ed. San Paolo, 2019, Cinisello Balsamo (MI), pp. 52, 93, 104 a titolo di esempio. Si veda “Courrier de Rome”, luglio-agosto 2019, anno LIII n°623, Synode sur l’Amazonie, commentaire de l’“Instrumentum laboris”, Prof. Matteo D’Amico – www.courrierderome.org