La Tradizione Cattolica, n° 119 (2021 n. 4)

Sommario:

Editoriale

Il Terz’Ordine di San Francesco

Papi conciliari e Messa Tridentina: storia e analisi da Paolo VI a Francesco

Il beneficio della croce nella vita di santa Gemma Galgani

Natività di Nostro Signore

Note sull’attualità ecclesiastica

Vita della Tradizione

Editoriale

Da tanti anni i cattolici vivono in una relativa pace nei nostri paesi europei. Ancora dovremmo ridurre quest’affermazione all’Europa dell’Ovest come era chiamata fino alla caduta del Muro di Berlino nel “lontano” 1989. La persecuzione è subdola: è l’attrattiva del mondo. Eppure quanti ne ha fatti cadere intorno a noi, o noi stessi quante volte ci ha addormentato nelle “dolci braccia” della morte del peccato?

Quando leggiamo le testimonianze dei cattolici cinesi o, più vicino a noi, pochi anni fa, il perdono, il coraggio e la fede viva di quelli perseguitati dall’ISIS in Medio Oriente, ci possiamo chiedere se la persecuzione non sia un bene che Dio manda a coloro che ama.

Già nell’Antico Testamento, allorché Dio aveva promesso le benedizioni materiali come ricompensa della fedeltà del popolo, ai suoi giusti il Dio Trinità insegnava la via della Croce: «Siccome eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse a prova» (Tob 12,13), dice l’Arcangelo Raffaele al vecchio Tobia. E Yahweh afferma al suo popolo: «Ecco, ti ho purificato per me come argento, ti ho provato nel crogiuolo dell’afflizione» (Is 48,10). Nel libro dei Maccabei troviamo questa bella proclamazione di fede e speranza in bocca al penultimo dei sette fratelli martirizzati: «Non t’ingannare. Noi per colpa nostra soffriamo queste cose, avendo peccato contro il nostro Dio; per questo ci accadono cose degne di ammirazione. Ma tu non credere di tentare impunemente di combattere contro Dio» (II Mac 7,18-19). E l’ultimo aggiunge: «Ma sebbene il Signore Dio nostro, per castigarci e correggerci, si sia per un po’ di tempo sdegnato con noi, pure di nuovo si riconcilierà con i suoi servi… I miei fratelli, sopportato un breve dolore, sono entrati nell’alleanza dell’eterna vita» (Ibidem, 33 e 36).

Dopo l’Uomo-Dio crocifisso, dovrebbe sembrare normale a noi come a santa Gemma, unire le nostre sofferenze a quelle del nostro Salvatore: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

È certo che i peccati della nostra suddetta società occidentale gridano vendetta a Dio, per riprendere l’espressione del catechismo: l’omicidio volontario, il peccato impuro contro natura, l’oppressione dei poveri e la frode nella mercede agli operai (“Preghiere e Formule di San Pio X” n°25). Li ritroviamo tutti sia a livello delle cosiddette “leggi” sia a livello dei privati. Di conseguenza si lamentava il profeta Isaia: «Il mio popolo! Un fanciullo lo tiranneggia e le donne lo dominano» (Is 3,1).

Cerchiamo di affrontare gli eventi presenti con coraggio e prudenza soprannaturale sapendo sia combattere che ricevere i colpi secondo un prudente giudizio. È certo che chi perseguita riceverà la punizione che merita, in questa vita o nell’altra, ma ciò non toglie che il perseguitato può e deve trar profitto dalla persecuzione che la Provvidenza permette per migliorare i buoni “che si sono addormentati”.

Piuttosto che lamentarsi o mugugnare sentimenti di rabbia o peggio vendetta e odio verso le marionette che si agitano sulla scena della storia della Creazione, cerchiamo di riconoscere dietro la mano che ci colpisce il Padre eterno che ci purifica, chiede umanità di sovrappiù per completare nella nostra carne «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa».

Ad Jesum per Mariam, ad maiorem Dei gloriam.
Don Ludovico Sentagne