CEI: Ecologia per contare di più
Missionarietà, ecologia integrale, bioetica, accoglienza, giurisprudenza matrimoniale. Questi i temi che il Consiglio permanente della CEI, i cui lavori si svolgono nei giorni in cui scriviamo si propone di affrontare o perlomeno di impostare nella sua sessione autunnale. In altre parole, le direttive da dare alle diocesi italiane per la loro pastorale di quest’anno.
Nel suo discorso iniziale [qui], il vicepresidente della conferenza episcopale Mons. Mario Meini, oltre a qualche accenno al dibattuto tema dell’eutanasia e delle nullità matrimoniali, si è attardato su due argomenti chiave della predicazione dell’episcopato italiano, eco pedissequa di quella papale: l’ecologia e l’accoglienza dei migranti.
Sul tema migratorio c’è l’invito a condividere la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato al fine di «non arrendersi alla cultura del “prima noi poi gli altri”», e anche per non cedere alla tentazione della «scorciatoia che vorrebbe ricondurre al fenomeno migratorio le paure e le insicurezze di un malessere civile, che in realtà muove da cause ben più profonde». L’accenno alla passata gestione politica degli affari interni è molto poco velato; su questo.
Più interessante benché più fumoso (ci si passi il gioco di parole) è il tema dell’ecologia; poche parole, che tra l’altro rimandano al Documento preparatorio al Sinodo sull’Amazzonia, appunto chiamato ad affrontare queste sfide. La cosa interessante è però, seguendo il testo di Mons. Meini, la finalità che la Chiesa persegue nell’intromettersi in questo dibattito: bisogna cambiare rotta, dice il prelato nel testo citato, bisogna trovare nuovi equilibri tra ambiente e lavoro, tra aspetto ecologico e aspetto sociale (secondo il paradigma di Laudato si’: l’ecologia è indissociabile dalla produzione, dalla cultura, dalla persona, dalla storia), tutto questo «per non rassegnarci all’insignificanza nella società e nel mondo. L’annuncio e la testimonianza del Regno di Dio, infatti, vanno al di là dei confini delle nostre comunità e della Chiesa stessa; con il Vangelo portiamo un bene che riguarda tutta la persona».
Leggiamo bene dietro le righe: a noi par di capire che, non avendo null’altro oggi da dire alla società e al mondo, la Chiesa deve a pieno titolo occuparsi di ecologia, pena la chiusura in se stessi o nelle sacrestie, quando invece la Chiesa sarebbe chiamata a travalicare i suoi confini per un bene (di che genere?) che riguardi tutta la persona.
Insomma, siamo al solito personalismo, niente di nuovo: l’ecologia è solo il perno per individuare il “nuovo umanesimo” fondato questa volta, edizione 3° millennio, sulla ecologia integrale che a sua volta si basa (v. Instrumentum Laboris del Sinodo sull’Amazzonia, n° 47) «sul riconoscimento della relazionalità come categoria umana fondamentale. Ciò significa che ci sviluppiamo come esseri umani sulla base dei nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con la società in generale, con la natura/ambiente e con Dio».
Ma in aggiunta, i vescovi italiani sembrano percepire la vacuità della loro missione se, nonostante ci sia Gesù Cristo da annunciare all’intero pianeta, come da duemila anni a questa parte, sentono la necessità, per ritagliare un ruolo alla Chiesa, di affiancare Greta Thunberg nelle denunce contro lo sfruttamento della Madre Terra, per aggiungervi quelle contro lo sfruttamento sociale dei deboli. L’immane catastrofe dell’apostasia diffusa nel mondo come in Italia, la crisi di Fede e la perdita di ogni punto di riferimento morale nei cristiani di oggi pare a noi ben più pesante dell’influenza delle emissioni di CO2: almeno nell’agenda dei successori degli Apostoli ci si immagina che quelle vengano affrontate prima di queste.
Ma nel consiglio permanente della CEI non ve ne è accenno. Anzi, nel discorso programmatico succitato non vi è alcun accenno ad alcunché di soprannaturale.
Don Gabriele D'avino