Dichiarazione di p. R.-Th. Calmel a proposito del Novus Ordo Missae
di p. R.-Th. Calmel
Il 27 novembre 1969, tre giorni prima dellʼentrata in vigore del Novus Ordo Missae, il domenicano p. Calmel (1914-1975) manifestò il fermo suo rifiuto.
Basta leggere questo testo per indovinare da quale sguardo di fede, da quale sicurezza teologica, da quale amore di Dio, da quale profondità proviene. Lo scrisse di getto senza neanche tenersene una copia prima di inviarlo allʼamico Jean Madiran per la pubblicazione sulla rivista Itinéraires (n° 139, gennaio 1970).
Padre Calmel è forse stato il primo sacerdote – se si eccettuano i Cardd. Bacci e Ottaviani – ad aver manifestato in pubblico un netto rifiuto, non soltanto dottrinale, ma anche pratico della nuova messa. La sua storica reazione illuminò ed incoraggiò molti sacerdoti e fedeli suoi contemporanei. A quasi cinquantʼanni dalla sua pubblicazione, questo scritto lungimirante e di grande attualità possa confortare ancora tante anime sacerdotali e tanti fedeli cattolici.
Una presa di posizione eroica
«Mi attengo alla Messa tradizionale, quella che fu codificata, ma non fabbricata, da san Pio V nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. Rifiuto quindi lʼOrdo Missae di Paolo VI.
Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, recepita o voluta dal Papa attuale [Paolo VI], e che per questo riveste la maschera dellʼOrdo Missae del 3 aprile 1969. Ogni prete ha il diritto di rifiutare di portare la maschera della rivoluzione liturgica. E ritengo essere mio dovere di sacerdote di rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco.
Se noi accettassimo questo rito nuovo, che favorisce la confusione tra messa cattolica e cena protestante – come parimenti dicono due cardinali e come lo dimostrano solide analisi teologiche – cadremmo presto da una messa intercambiabile (cosa peraltro riconosciuta da un pastore protestante) ad una messa chiaramente eretica e quindi nulla. La riforma rivoluzionaria, cominciata dal Papa e poi lasciata alle chiese nazionali, continuerà la sua folle corsa. Come possiamo accettare di diventarne complici?
Voi mi direte: e adesso? La Messa di sempre a qualunque costo, ma avete pensato a cosa andate incontro? Certo. Vado incontro, se così posso dire, a perseverare nella via della fedeltà al mio sacerdozio e, pertanto, a rendere al Sommo Sacerdote, che è il nostro giudice supremo, lʼumile testimonianza del mio ufficio di sacerdote. Vado incontro anche a rassicurare i fedeli sconvolti, tentati dallo scetticismo o dalla disperazione. Infatti, ogni sacerdote che si attiene al rito della Messa codificato da san Pio V, il grande Papa domenicano della Controriforma, dà la possibilità ai fedeli di partecipare al santo sacrificio senza ombra di equivoco; di comunicarsi, senza rischio di essere ingannati, al Verbo di Dio incarnato ed immolato, reso realmente presente sotto le sante specie. Per contro, il sacerdote che si piega al nuovo rito forgiato di sana pianta da Paolo VI, collabora per quanto è in lui, ad instaurare progressivamente una messa bugiarda dove la presenza di Cristo non sarà più verace, ma sarà trasformata in un memoriale vuoto; per il fatto stesso, il sacrificio della Croce sarà soltanto più un pasto religioso, dove si mangerà un poʼ di pane e si berrà un poʼ di vino: nientʼaltro, come dai protestanti.
Il non consentire a collaborare allʼinstaurazione rivoluzionaria di una messa equivoca, orientata alla distruzione della Messa, significherà andare incontro a chissà quali disavventure terrene, a quali rovesci in questo mondo? Il Signore lo sa e la sua Grazia è sufficiente. Per davvero la Grazia del Cuore di Gesù, che arriva fino a noi attraverso il santo sacrificio ed i sacramenti, è sufficiente sempre. Per questo nostro Signore dice tranquillamente: «Chi perde la sua vita in questo mondo per causa mia, la salva per la vita eterna».
Riconosco senza esitare lʼautorità del Santo Padre. Tuttavia affermo che ogni papa, nellʼesercizio della sua autorità, può commettere degli abusi dʼautorità. Affermo che il papa Paolo VI commette un abuso di autorità di una gravità eccezionale quando costruisce un rito nuovo della messa su di una definizione di messa che non è più cattolica. «La Cena del Signore o messa – scrive nel suo Ordo Missae – è la sinassi sacra o lʼassemblea del popolo di Dio che si riunisce insieme, sotto la presidenza dal sacerdote per celebrare il memoriale del Signore» (Institutio generalis, art. 7). Questa definizione insidiosa omette a priori ciò che costituisce la messa cattolica, mai riconducibile ad una cena protestante. Infatti, nella messa cattolica non si tratta di un qualunque memoriale; il memoriale è di natura tale che contiene realmente il sacrificio della Croce, perché il Corpo e il Sangue di Cristo sono resi realmente presenti in virtù della duplice consacrazione. Questo appare senza ombra di dubbio nel rito codificato da san Pio V, mentre resta ondivago ed equivoco nel rito fabbricato da Paolo VI. Parimenti, nella messa cattolica il sacerdote non esercita una presidenza qualunque; segnato da un carattere divino che lo consacra per lʼeternità, è il ministro del Cristo, il quale per mezzo di lui realizza la messa; ce ne vuole perché il prete possa essere assimilato ad un qualche pastore, delegato dai fedeli per moderare la loro assemblea. Ciò che è evidente nel rito della messa ordinato da san Pio V, è velato, se non fatto proprio scomparire, nel nuovo rito.
La semplice onestà, quindi, ma infinitamente di più, lʼonore sacerdotale mi chiede di non avere lʼaudacia di adulterare la messa cattolica ricevuta il giorno dellʼordinazione. Dal momento che bisogna essere retti, soprattutto in una materia divinamente grave, non cʼè autorità al mondo, fosse pure quella pontificia, che possa fermarmi. Dʼaltronde, la prima prova di fedeltà e di amore che il sacerdote ha il dovere di offrire a Dio e agli uomini è di conservare intatto il deposito infinitamente prezioso che gli è stato affidato con lʼimposizione delle mani del vescovo. È innanzitutto su questa prova di fedeltà e dʼamore che sarò giudicato dal Giudice supremo. Mi aspetto fiduciosamente dalla Vergine Maria, Madre del Sommo Sacerdote, che mi ottenga di restare fedele sino alla morte alla messa cattolica verace e senza ambiguità. Tuus sum ego, salvum me fac – Sono tuo, sàlvami».