Lettera agli Amici e Benefattori del Distretto italiano
Lettera agli amici e benefattori - novembre 2024
Cari Amici e Benefattori,
Seguendo una tradizione plurisecolare, l’anno prossimo, ossia nel 2025, la Chiesa cattolica festeggerà il suo Giubileo, con un Anno santo che permetterà ai fedeli di tutto l’orbe terrestre di lucrare le sante indulgenze recandosi sulle tombe degli Apostoli e nelle Basiliche maggiori; la Fraternità San Pio X, nello spirito del suo fondatore, non sarà da meno: un pellegrinaggio internazionale è stato indetto, come sapete, per il 20 agosto 2025.
Sarà questo il terzo Giubileo a cui parteciperemo, per mostrare la nostra adesione «alla Roma cattolica, custode e maestra della fede cattolica»,[1] così come ebbe a scrivere Mons. Marcel Lefebvre nella celebre dichiarazione del 21 novembre 1974, dichiarazione che compie dunque cinquant’anni mentre scriviamo.
La nostra adesione alla Roma cattolica è la manifestazione della nostra appartenenza alla Chiesa romana, ed essa non è un’opzione, non è una scelta: è anzi l’essenza stessa della fede, poiché l’atto di credere in Dio è, come sappiamo dal catechismo, reso concretamente possibile dall’insegnamento della Chiesa; insegnamento che è per la fede, come si dice in teologia, la «regola prossima»; in altre parole, la fede è un atto della nostra intelligenza illuminata dalla grazia e mossa dalla volontà, ma il cui contenuto ci è indicato dal Magistero della Chiesa, eco dell’insegnamento degli Apostoli e quindi di Nostro Signore stesso: non si può, dunque, dirsi cattolici senza appartenere alla Chiesa cattolica.
È nostro dovere dunque capire bene in cosa consista questa appartenenza, che, nei tempi di crisi che viviamo, non appare più un concetto così immediato; inoltre, dinanzi al triste quadro della decadenza della professione di fede da parte della gerarchia ecclesiastica, la tentazione emotiva è quella di «smarcarsi» dalla Chiesa proprio perché si identifica (inconsapevolmente, ma erroneamente) l’istituzione con i suoi membri. Il fosco panorama delle deviazioni religiose, dell’ecumenismo dilagante, della sinodalità esasperante, degli abusi liturgici e dell’inconsistenza dottrinale e spirituale del clero attuale può facilmente nauseare un cattolico di buoni principi: «Se la Chiesa è questa, tanto vale uscirne» si potrà allora frettolosamente pensare, sulla base dell’istinto e dell’emozione più che con vero spirito di fede.
Il 21 novembre 1974 Mons. Lefebvre tuonava: «noi rifiutiamo, e abbiamo sempre rifiutato, di seguire la Roma neomodernista e neoprotestante»: ecco un principio illuminante che ancora oggi può guidare, dopo cinquant’anni, il cattolico perplesso ma sinceramente pronto a rimanere cattolico. Infatti, ciò che costituisce in primo luogo l’appartenenza alla Chiesa cattolica è la professione della stessa fede degli Apostoli: un filo rosso che ci unisce ai santi Pietro e Paolo, al Concilio di Nicea, a Trento, alle dichiarazioni infallibili dei Papi, e a tutto il patrimonio di fede contenuto nel Credo. Nostro Signore ha voluto che tutto questo si realizzasse per mezzo di un’istituzione - la Chiesa gerarchica - che ne garantisse la trasmissione; essa è dunque un mezzo soprannaturale che ha come fine, per l’appunto, la professione di fede: i legami giuridici tra i membri della Chiesa e la sua gerarchia (il Papa e i vescovi), necessari certo, e anch’essi criteri visibili per mostrare l’appartenenza alla Chiesa cattolica, sono appunto un mezzo. E il mezzo non viene prima del fine, ma è in funzione di esso. Se dunque, per qualche misterioso motivo (che però è ben reale e sotto gli occhi di tutti), i membri della gerarchia si allontanano dalla professione di fede, al cattolico è lecito rifiutare questa deviazione (non certo l’istituzione, non certo rifiutare la Chiesa) per mantenere la fede. È quel che intendeva Marcel Lefebvre dicendo di rifiutare «questa» Roma.
Egli volle trovare un principio di soluzione a tutto ciò, e lo individuò nella rinascita del sacerdozio cattolico, continuando a formare preti come la Chiesa li aveva sempre formati, e rendendo salda la loro fede e il loro ministero sacerdotale attraverso la vita comune, fulcro ed essenza stessa, potremmo dire, della Fraternità San Pio X.
E questo ci porta a fare un’importante considerazione sulla sopravvivenza stessa, non della nostra Fraternità, ma della Chiesa cattolica nella sua totalità: il sacerdozio non è un’idea, un’astrazione, ma una scelta precisa, «incarnata» si potrebbe dire, di giovani che decidono di lasciare il mondo per dedicare la loro vita, tutta la loro vita, alla loro santificazione e a quella delle anime. Si tratta di un sacrificio grande, enorme, se si pensa all’intera vita di un uomo che rinuncia a se stesso, prende una croce lunga tutta la propria esistenza, e segue Nostro Signore dappertutto, ma soprattutto nelle sue pene e senza riservare nulla a sé, ai propri gusti, alla propria indipendenza, alla propria affettività umana.
Ma questo sacrificio, cari fedeli, è assolutamente necessario: la Chiesa ha bisogno di santi sacerdoti perché senza di essi - e, insistiamo, senza che essi siano santi - non c’è vita cristiana possibile, i sacramenti mancheranno, la predicazione sarà infruttuosa, l’esempio di vita sarà inconsistente o, peggio, deviante. Una società cristiana senza sacerdoti non può sopravvivere; ma la vocazione, che è certo una chiamata di Dio, ha tuttavia bisogno della generosità senza riserve di coloro che Dio chiama.
Aggiungiamo dell’altro: nella sua provvidenziale opera Mons. Lefebvre aprì la congregazione a dei membri che volessero consacrare la loro vita con i voti di religione e senza ricevere l’ordinazione sacerdotale: sono i frati della Fraternità San Pio X; e ancora, alla richiesta di alcune giovani, in collaborazione con sua sorella, Madre Marie Gabriel, fondò le Suore della Fraternità San Pio X. Queste due ultime realtà, pur essendo composte da non sacerdoti, sono tuttavia orientate al sacerdozio a causa della completa dedizione all’opera del sacerdozio nella Fraternità e grazie all’esempio di una vita santa che accompagna ed incoraggia i sacerdoti della Fraternità, ancor prima dell’aiuto materiale che essi forniscono a vario titolo nei Priorati in cui sono destinati. Le tre vocazioni, pur essendo così diverse, sono in questo senso strettamente connesse con la restaurazione del sacerdozio cattolico.
Si interroghino dunque seriamente i giovani che leggono queste righe, e si chiedano con sincerità se Dio li chiami o no alla vita consacrata, a lasciare tutto per Lui, a dedicare ogni singolo soffio vitale alla santificazione propria e delle anime, in uno slancio di apostolato che oggi il Signore certamente richiede, e al quale così tanti vogliono purtroppo essere sordi.
Si interroghino le famiglie cattoliche, i genitori che hanno bambini piccoli o adolescenti, e si chiedano con sincerità cosa hanno fatto e cosa stanno facendo per incoraggiare la loro prole alla vita cristiana anche, certo, con lo scopo di suscitare in loro il santo desiderio di consacrarsi al Signore nella vocazione sacerdotale o religiosa. Stanno essi proteggendo i loro figli come dovrebbero dai pericoli del mondo, dai mezzi infernali che il mondo mette in opera per corrompere la gioventù? Vigilano essi sulle loro amicizie, sull’istruzione scolastica che ricevono, sui loro passatempi e sulle loro attività? Li incoraggiano al sacrificio e alla rinuncia, non accontentandoli in ogni capriccio e gusto (dando essi stessi l’esempio per primi di una vita mortificata e temperante)? Trasmettono loro il patrimonio della fede cattolica, mettendo al centro della vita di famiglia la preghiera, l’assistenza alla Messa, i sacramenti? Quante buone risoluzioni da prendere, e non solo per la semplice educazione dei propri figli, ma ancora, e insistiamo, affinché essi, se chiamati da Dio alla vita consacrata, abbiano le disposizioni giuste per rispondervi. Questa è la famiglia veramente cristiana.
Quante volte ci lamentiamo dei mali della società e di quelli che affliggono la Chiesa; quante volte ci sentiamo dire che i centri di Messa sono lontani, che non ci sono abbastanza sacerdoti per provvedere alle necessità di tutte le categorie di fedeli, che vorremmo più Priorati, e così via. Ci siamo invece mai chiesti se questa mancanza non dipende, in un certo modo, anche da noi? Dalla nostra mancanza di vera vita di preghiera, di sacrificio e di rinuncia? Tutte cose, queste, che ispirano l’esempio, e l’esempio vale molto più di prediche e discorsi. È anche così che nascono le vocazioni: i giovani hanno bisogno di vedere l’esempio concreto di sacrificio vissuto per Nostro Signore, in primis certo dai sacerdoti stessi e dai religiosi (ecco la necessità non solo della quantità di vocazioni ma della qualità di esse, e della santificazione dei consacrati), ma anche dalle famiglie che trasmettono loro il gusto e il desiderio di servire Nostro Signore Gesù Cristo.
La Casa Generalizia della Fraternità San Pio X ha opportunamente stabilito di dedicare il Giubileo a Roma nel 2025 alla preghiera per le vocazioni: «Mitte, Domine, operarios in messem tuam» (Mt 9,35). Approfittiamo di questa bella occasione per unirci almeno spiritualmente a questa preghiera.
Da parte nostra, percependo la necessità di questo lavoro nella messe del Signore, abbiamo deciso di intensificare l’impetrazione di questa importante grazia della chiamata di Dio e della generosa risposta da parte dei nostri giovani: abbiamo reso obbligatoria per tutti i Priorati la celebrazione mensile di una S. Messa per le vocazioni sacerdotali e religiose, Messa che sarà annunciata ai fedeli.
Nella speranza che vogliate unirvi con le vostre preghiere e sacrifici a questa fondamentale opera della nostra Fraternità e per il bene della Chiesa stessa, e nella speranza anche di vedervi numerosi a Roma in occasione del Giubileo, vi assicuro le mie preghiere e la mia benedizione,
Don Gabriele D’Avino
Superiore del Distretto italiano
[1] Dichiarazione di Mons. Lefebvre del 21 novembre 1974.